Almanacco di Ippogrifo
rivista annuale di cultura
Qualche anno fa, uno studioso che di letteratura se ne intende- va e che ci ha consegnato preziose riflessioni sul senso di fare cultura, Vittorio Strada, in una splendida voce della Enciclopedia Einaudi, amava sottolineare lo stretto legame fra «il fare letterario e il sapere letterario», ovvero la sostanziale convergenza fra la produzione letteraria e la riflessione su di essa, come a dire che riesce difficile, per non dire impossibile, stabilire un confine preciso fra l’esercizio della creatività e il momento scientifico della critica.
Il che c’incammina su un’altra seducente biforcazione di idee, una rete inesauribile di spunti e suggestioni: ad esempio, su quanto vi sia d’immaginifico e lirico nelle pagine di alcuni critici (basterebbe pensare, fra tutti, agli scritti di Roberto Longhi) e, allo stesso tempo, quale spessore di consapevolezza e pensosità vi sia in certi libri di narrativa, in apparenza tanto leggeri e incantati (e ci tornano in mente le parole di un maestro dell’affabulazione, Italo Calvino, che in punto di morte all’amica Maria Corti confessava di essere uno scrittore che lavora soprattutto di sottrazione, con estrema fatica, per offrire il massimo di leggerezza, spontaneità, freschezza).
Viene da chiedersi, in altre parole, quale ruolo occupi nella pratica della scrittura il lavoro silenzioso e oscuro dell’apprendistato: lo studio, l’artigianato, l’officina, il laboratorio, la lettura, prima ancora dell’atto stesso della creazione Quanto contano, cioè (per usare un’immagine un po’ pittoresca), dopo il momento magico folgorante dell’ispirazione, le lunghe ore corrosive della traspirazione. Italo Svevo, che cercava di difendersi dalle critiche di dilettantismo, parlava del “faro” e della “lumaca”: il faro come luce folgorante e intermittente (l’ispirazione) e la lumaca come paziente e diligente lavorazione (la traspirazione).
L’Almanacco di Ippogrifo nasce dal faro e dalla lumaca.
È il frutto di un’idea di letteratura che ha guidato, dal febbraio 2016, un’associazione di appassionati e professionisti della scrit- tura, che hanno, per così dire, fatto dei “laboratori” il loro mar- chio di fabbrica: officina di scrittura con le scuole, le biblioteche, le librerie, ma soprattutto laboratori interni, fra i soci, in sistema- tici incontri settimanali, per condividere i propri testi, limarli, vi- visezionarli, smontarli, assemblarli.
Workshop che sono prima di tutto territori del confronto umile, crocevia di crescita collettiva, frontiere di discussione. Ma anche, perché no, momenti di gioco e d’intrattenimento, per esorcizzare lo stereotipo dell’autore solitario, un po’ depresso, imprigionato in una sorta di autoreferenziale compiacimento.
Scrivere è anche questo, no? Scalare una montagna. Ed è molto meglio farlo assieme, perché sai che ci saranno molti ostacoli da superare e trovare le soluzioni, da soli, è molto più complicato…
Da qui è nata la suggestione di una rivista annuale, che fosse l’espressione di questa collettiva scalata in montagna: una sfida egregiamente raccolta e gestita da Daniela Galassi, Marco Ma- rangoni e Alessandra Scisciot, che hanno saputo restituire il senso della trasversalità dei testi. Espressione di età, sensibilità, talenti diversi. Testi a volte versatili, sperimentali, sofisticati. Altre volte essenziali, minimalisti, asciutti. E ancora, testi ironici e grotte- schi, bizzarri e fiabeschi, intimisti e malinconici, evocativi, lirici, simbolisti.
Ogni esercizio è prezioso nella sontuosa miniera della letteratura.
Ma l’intenzione che li muove è la stessa: trasmettere un messaggio di scrittura condivisa, aperta al dialogo, in divenire, capace di accettare una critica e risolverla col sorriso. Perché, come suggeriva Fryderyk Chopin, chi non ride mai, non è una persona seria.