Italo Calvino “Cavaliere”

La rimozione alfabetica del caos
Spazio libri editori, Ferrara, 1992
introduzione di Gian Mario Anselmi
docente di Letteratura all’Università di Bologna

Di cosa parla il saggio
C’è particolare e inimitabile forza di attrazione nei libri di Italo Calvino, una forza di attrazione che Calvino ci confessa di provare, a sua volta, di fronte all’opera di Ludovico Ariosto: “limpido, ilare, incredulo, senza problemi, eppure così misterioso, così abile a celare se stesso”.
Non c’è dubbio: è questa la magia che ci intriga, ci incanta e quasi si molesta, ci intrappola e ci suggestione leggendo Calvino: l’abile esercizio di levità ed eleganza, di inesauribile leggerezza, di pulizia della parola, eppure il senso di profondità, di sorda e sepolta lacerazione che si nasconde dietro quella leggerezza, dietro quello stile limpido e ironico.
È una sensazione impalpabile, che spesso non riusciamo a decifrare e a descrivere, perché sentiamo che in fondo al supremo controllo della materia narrativa Calvino cela un’intima inquietudine.
Di cosa si tratta?
Qual è il senso riposto della scrittura di Calvino?
La rimozione alfabetica del caos parte da uno spunto critico di Calvino, secondo cui “la letteratura deve mettere ordine nel disordine del mondo”, per poi analizzare uno dei tre romanzi della trilogia I nostri antenati, e precisamente Il cavaliere inesistente.
Il metodo di analisi parte ancora una volta da un suggerimento critico di Calvino e si sofferma sui rapporti fra i personaggi, Agilulfo e Gurdulù, Rambaldo e Torrismondo, Bradamente e Sofronia, i cavalieri del Santo Gral e i Curvali.
Attraverso la rete creata dai personaggi, in un gioco di specchi e di simmetrie, si riesce a ricavare ciò che l’autore non manifesta attraverso le parole ma nasconde nella geometria della struttura dell’opera: l’impossibilità della scrittura di denotare, contenere e mettere ordine nel disordine del mondo.
Dietro la finzione della fiaba, dunque, un romanzo sul romanzo, una riflessione sul ruolo complesso e problematico della scrittura, un messaggio sulla dialettica relazione fra autore, testo e lettore.

Introduzione di Gian Mario Anselmi
Chissà se Calvino lo aveva previsto, chissà se aveva previsto che proprio lui, in Italia, si sarebbe affermato, alle soglie del Terzo Millennio, come “classico” definitivo e indiscusso, per un verso e per l’altro come uno degli autori preferiti dalle più giovani generazioni di lettori. Non è fatto da poco né tanto frequente che un autore, nel momento in cui si attesta nel canone dei “classici” (e quanto lucidamente Calvino ci ha intrattenuto su cosa significhi l’accostarsi ai “classici”!), sia al contempo amato da lettori nuovi, da generazioni giovani che lo investigano per trovare ansiosamente risposte che un mondo come non mai tragicamente lacerato e assediato non sa fornire.
Appunto, il “caos”, quel caos di cui il testo rigoroso e penetrante, ansioso e scrutatore di Calvino tenta di restituire un’armonia, un’armonia di segno inquieto e dialogico, non certo inerte e astratto: non a caso Calvino è lettore acutissimo di Ariosto e Tasso e non a caso sembra ben radicato in una certa nostra principale tradizione letteraria, che ebbe il suo culmine tra Dante e l’età rinascimentale. È la tradizione cha sa che la letteratura (come già Shelley ebbe mirabilmente a ribadire, lui grande lettore dei nostri classici) è forma principe della conoscenza, capace, nel narrarci la mutevolezza spesso inafferrabile del reale, di tenere insieme ciò che la filosofia, le scienze esatte, la logica non tollerano di vedere accomunato in serie contigue: la grande letteratura è infatti il luogo della violazione continua del principio di non contraddizione di Aristotele, è il luogo della vera coincidentia oppositurum, è il luogo in cui l’altro, l’altrove sono pensati come possibilità al tempo stesso immaginarie e utopiche eppure immanenti (fondamento stesso della nostra etica) alla dura spigolosità del quotidiano.
Di questo, in ultima istanza, credo ci voglia dire Andrea Pagani, giovane studioso e giovane lettore di Calvino, che con determinazione e passione cerca di andare oltre le analisi più consuete, per tentare di portarci più a fondo, in quel luogo appunto in cui la molteplicità, la dualità, la complessità si configurano come perni dell’ispirazione, per Calvino come per ogni grande classico.
Il cavaliere inesistente diviene allora, per Pagani, testo emblematico per capire la poetica di Calvino ma al tempo stesso per chiarire punti che ineriscono oggi complessivamente al rapporto fra testo e lettore, di cui proprio Calvino fu uno dei più felici interpreti e esecutori (come autore e come lettore, cioè).
Affidiamoci allora alle pagine di Andrea Pagani, alle sue originali osservazioni, al suo non celato amore per i testi calviniani: compiremo una sorta di doppio viaggio, una nella fucina appassionante del grande autore del Novecento, l’altro nelle dinamiche che portano un lettore, un giovane lettore, a squadernare, attraverso Calvino, il Mondo e in definitiva, alle soglie del nuovo Millennio, un po’ anche se stesso.

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