La forma del tempo. De Chirico e Einstein

In occasione della prestigiosa mostra a Palazzo Diamanti a Ferrara su de Chirico, la metafisica e le avanguardie, il sistema museale di Ateneo della Università di Ferrara organizza un ciclo di incontri sul rapporto fra Arte e Scienza, sulle rivoluzionarie invenzioni della Metafisica. Di seguito l‘ABSTRACT della lezione di Andrea Pagani dal titolo LA FORMA DEL TEMPO

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La forma del tempo

Suggestioni della concezione del tempo

fra arte, scienza e letteratura

Abstract della relazione per il convegno

“Il tempo fra scienza e metafisica”

Ferrara, 13 gennaio 2016

Quando, nel novembre del 1915, a Berlino, dopo una prima elaborazione teorica assieme all’amico Marcel Grossmann, Albert Einstein ottenne le equazioni corrette per convalidare l’ipotesi che le forze gravitazionali fossero una manifestazione della curvatura spazio-temporale, pervenendo così a quella teoria dello spazio-tempo che venne denominata “relatività generale”, forse il fisico stesso non si rendeva conto di aver posto le basi di una rivoluzione non solo in campo matematico e scientifico, ma anche in un campo più estensivamente culturale, investendo, come un vero e proprio uragano, una serie di altre discipline, come l’arte, la musica, la letteratura.

Se, in effetti, Einstein riuscì a definire un nuovo modello matematico del tempo, coniugando inestricabilmente spazio e tempo, secondo cui non è possibile incurvare lo spazio senza incurvare il tempo, e se quindi si può legittimamente affermare che il tempo possieda una forma, nella misura in cui la distribuzione della materia e della energia nell’universo distorce lo spazio-tempo rendendolo così curvo (non a caso gli oggetti all’interno dell’universo cercano di seguire un moto rettilineo ma poiché lo spazio-tempo è curvo le loro traiettorie risultano incurvate come se fossero soggette a un campo gravitazionale), ebbene, non c’è dubbio che attorno a questo seducente snodo concettuale di una forma del tempo, di una possibilità di rappresentare sulla pagina (pittorica o narrativa) un valore così astratto come il tempo, rendendolo in qualche modo immobile e plastico, reale e surreale, fisico e metafisico, attorno a questo snodo concettuale, dicevamo, si sia mossa in quello stesso giro d’anni, affascinata e confusa, una vasta schiera di artisti, nel mondo e in Italia, pittori come Dalì, De Chirico, Carrà, De Pisis, Morandi, poeti e narratori come Montale, Landolfi, Buzzati.

Ci sono tre immagini ed espressioni poetiche, in particolare, che a mio parere segnalano il punto di convergenza fra la geniale intuizione scientifica di Einstein e l’articolata materia artistica.

Un’immagine poetica di Eugenio Montale, presente nella poesia I limoni, concentrata nell’espressione “l’anello che non tiene”.

Un’immagine narrativa, in uno stravagante diario creativo di Dino Buzzati, molto significativamente intitolato In quel preciso momento.

E una celebre immagine iconografica di Giorgio De Chirico, nella collezione Mattioli, dal titolo, nondimeno emblematico, L’enigma dell’ora.

La mia relazione partirà dall’esame di questi tre spunti culturali, così apparentemente diversi fra loro per aree disciplinari, ma così assimilabili per concezioni e atmosfere, tutti e tre legati ad una precisa suggestione verso il tema del tempo e capaci di fare emergere un termine chiave per la definizione della metafisica, e cioè il termine di “rivelazione”.

C’è una singolare analogia, in effetti, fra l’esigenza di Buzzati, espressa nel suo “diario culturale”, di catturare un attimo fuori dal tempo, una specie di epifania rivelatrice, nel rifiuto di un realtà fenomenica per collocarsi invece sul piano di un momento unico e irripetibile, e la ricerca di De Chirico di scandire il tempo, ovvero l’attimo, un momento congelato, oltre la storia, fissato nella rappresentazione delle lancette di un orologio immobile, metafisico, stranito, e allo stesso modo i memorabili versi di Montale:

… talora ci si aspetta

di scoprire uno sbaglio di Natura,

il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,

il filo da disbrogliare che finalmente ci metta

nel mezzo di una verità.

Ritroviamo in tutti questi tre nuclei tematici la medesima matrice comune: la tensione verso un assoluto, oltre la durata di un tempo lineare, nella direzione di un attimo metafisico, che per l’appunto può essere rappresentato sulla pagina e sulla tela.

Per Buzzati è la rivelazione di un momento. E non a caso, in più di una circostanza, l’autore respinse con un certo disappunto i frequenti accostamenti all’opera di Kafka, per sottolineare invece i suoi legami con l’idea della “Epiphany” di Joyce, con le “Intermittences du coeur” di Proust, o con i “Moments of being” di Woolf, alla ricerca del potere visionario della parola, di un odore, di un gesto, capace di rivelare il significato profondo della vita, catturato e emblematizzato nell’attimo, percepito nella torrenziale potenza del momento.

Lo stesso è per L’enigma dell’ora di De Chirico. Anche qui, come ha felicemente osservato Riccardo Dottori (che vale la pena citare per intero, mettendo in corsivo i passaggi più significativi):

[…] l’elemento essenziale del trascendimento e della riflessione sull’esistenza umana, così come del presagio, è il tempo […], l’attimo, [la cui] presenza è sentita e presentata da De Chirico come un enigma.

[…]

L’enigma non è certo dettato dal fatto che l’orologio segna le 15 meno 5 minuti, mentre l’ombra gettata dall’edificio o dalla silhouette della donna sembra corrispondere, al pari del colore della luce, a un’ora del tardo pomeriggio, o a un’ora crepuscolare.

[…]L’enigma è la stessa dimensione metafisica del tempo, o la dimensione metafisica dell’ora, un presente che non è il tempo che intercorre tra passato e futuro, ma semmai quella pienezza del tempo che per Nietzsche stesso è rappresentata dal mezzogiorno. L’attimo segnato dalle sfere dell’orologio, il presente che fugge, non corrisponde alla durata reale del tempo, come stava mostrando in quegli anni Bergson; le lancette dell’orologio non denotano il tempo reale delle figure umane che guardano in se stesse, il tempo vuoto, come il tempo passato nella stazione ferroviaria, è un tempo che è quindi completamente schiacciato sull’attimo del treno che deve arrivare da un lato, e l’attimo scandito dall’orologio dall’altro; in questo tempo vuoto la figura della donna che riflette o medita in se stessa appartiene alla durata reale delle ombre gettate dal sole pomeridiano, e rappresenta comunque l’enigma dell’ora, il vero girare e ritornare in se stesso del tempo pieno o circolare, rispetto alla figura di colui che passeggia in avanti e indietro, il cui movimento rappresenta il tempo semplicemente lineare e vuoto. L’enigma dell’ora come dimensione metafisico-enigmatica del tempo sembra anticipare quindi l’analisi che Heidegger fa del fondamento di ogni metafisica, in particolare della metafisica greca come una metafisica della presenza dell’essere.

Il punto di partenza, e forse anche di arrivo, dell’intera riflessione metafisica, non a caso gravitante attorno alla città di Ferrara che fra il giugno e il luglio del 1915 Giorgio De Chirico e Alberto Savinio eleggono come patria del nuovo movimento, si costruisce su questa concezione del tempo, una “metafisica della presenza dell’essere”, frutto di una rivelazione epifanica, onirica e simbolista ma anche lucida e razionale, rappresentata con forme nitide e plastiche, tutt’altro che impressioniste, come tante pagine del diario di Buzzati e dei racconti di Landolfi.

E in questa commistione di realismo e simbolismo nell’idea di una forma del tempo, di verosimile e visionario, senza dubbio un debito decisivo bisogna ascriverlo alle speculazioni scientifiche che in quegli anni andava elaborando e diffondendo il genio di Albert Einstein.

Qui di seguito la presentazione della conferenza in formato Power Point, avvenuta il 13 gennaio 2016 al Palazzo Diamanti a Ferrara

La forma del tempo