Il Giullare e la Castellana, favola

Il Giullare e la Castellana

favola di Natale

di Andrea Pagani

con le illustrazioni a colori di Alessandro Casadio

pubblicata sulla rivista Università Aperta – Terza Pagina – anno XXI, luglio 2011, n. 7

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Vivevano in una casa in montagna, immersa nel bosco, due sorelle piccine, assieme al loro bravo e affettuoso nonno.

Di preciso non si conosceva il nome delle bimbe, poiché l’anziano uomo le chiamava da sempre coi simpatici soprannomi di Giullare e Castellana, per via dei caratteri delle due nipotine, così diverse, ma allo stesso tempo così uguali fra loro: una era vispa e birbante come un Giullare, sempre in vena di scherzi e giocolerie; l’altra era silenziosa e riservata, paziente, amante della casa come il guardiano di un castello.

Eppure le due bimbe avevano molto in comune: giocavano spesso con gli animali del bosco e possedevano lo straordinario potere di parlare con gli elementi della natura. Insomma, erano due bimbe dotate di fantasia, perspicacia e un pizzico di furbizia (ma neanche tanto un pizzico, per essere proprio sinceri sinceri…).

Dovete sapere che il nonno, col passare degli anni, aveva accumulato mille acciacchi, soprattutto un insopportabile mal di schiena. Faceva una gran fatica a svolgere i lavori di casa e a coltivare l’orto, e se non ci fossero state le sue nipotine a dargli una mano spesso non sarebbe riuscito neppure ad alzarsi dal letto alla mattina.

Un giorno, mentre il nonno come suo solito era andato a lavorare nell’orto dietro casa, le due bimbe si erano immerse in un gioco fantasioso e incantato, come solo i bambini sanno fare: avevano preso un po’ di paglia dal fienile, un po’ di stracci di iuta mezzo strappata, un po’ di cordone, e si erano costruite delle bambole, che coccolavano e addormentavano fra le braccia.

Proprio sul più bello, capitò una vera e propria meraviglia.

Provate ad immaginare… Sul vestito delle bambole si vennero a posare tre coccinelle, con sette nitidi puntini neri sulle elitre rosse, che cominciarono a parlare alle bimbe.

Avevano una vocina sottile e acuta. Bisognava stare attenti e silenziosi per capire le loro parole. Ma le due sorelle erano abituate a decifrare il linguaggio degli animali, e senza troppi sforzi compresero quello che i tre piccoli coleotteri stavano loro comunicando.

Parlavano velocemente, di seguito, e per costruire un discorso unico bisognava attaccare tutte le loro frasi, una dopo l’altra:

La prima disse: “Hei, sorelline, Giullare e Castellana, diciamo a voi, ci sentite?”

“Sì, sì,… vi stiamo ascoltando” risposero in coro le bambine.

E la seconda: “Siamo state inviate dal cielo, da un angelo di nome Lucia, dobbiamo parlarvi…”

Poi fu la volta della terza coccinella: “Voi siete due bambine molto speciali, perché potete capire il linguaggio della natura…”

“Cosa volete da noi?” chiesero sorprese le piccine.

La seconda: “Dovete liberarci!”

La prima: “Dovete salvare la foresta!”

La terza: “Sì, bambine, proprio così… Ascoltate la nostra storia”

“Cosa mai vi è successo, care coccinelle…” esclamarono a bocca aperta la Castellana e il Giullare.

La prima: “Alla fine del sentiero dietro la casa, quello che corre giù lungo il fiume, c’è una grotta minuscola, nascosta dietro a rovi e cespugli, dove uno spirito malvagio e cattivo, lo spirito del Malocchio, ha imprigionato tutte le coccinelle del bosco…”

La terza: “…sì, proprio così, il cattivo Malocchio ha chiuso dentro una gabbia arrugginita centinaia di coccinelle e per questo motivo il bosco è in pericolo, bambine, perché i pidocchi, gli afidi e tanti altri demoni scuri stanno mangiando, giorno dopo giorno, le piante della foresta, stanno succhiando la linfa degli alberi e dei germogli, i petali delle rose…”

La seconda: “… solo noi, coccinelle, possiamo tenere lontano questi demoni cattivi dalle piante, possiamo sconfiggere i pidocchi e salvare il bosco della montagna…”

Le due bambine rimasero a bocca aperta.

Quella storia aveva dell’incredibile. Qualsiasi altra persona non ci avrebbe creduto, ma il Giullare e la Castellana, così ricche di immaginazione e bontà, non avevano timore a fidarsi dei segni della natura.

Fu la Castellana, con il suo abituale spirito pratico e buon senso, a intervenire per prima: “Diteci, coccinelle, cosa dovremmo fare di preciso…”

Tutte e tre insieme le coccinelle risposero: “È semplice. Dovete entrare nella grotta in fondo al fiume, prendere la gabbia dove sono imprigionate le coccinelle, trasportarla nel bosco e liberare gli insetti nell’aria. Solo così la natura sarà salva dal male…”.

A questo punto fu il Giullare, con il suo solito carattere vispo e furbetto, a parlare: “Va bene, coccinelle, lo faremo…, ma se è vero che siete inviate del cielo, in nome di Santa Lucia, allora potrete anche voi fare qualcosa per noi, in cambio…”

“Ahh, furbetta. E va bene. È giusto. Potete esprimere un desiderio e noi lo esaudiremo…”

Ci fu un momento di silenzio.

Erano tante le cose che le bimbe volevano. Non sapevano scegliere.

“Ci possiamo pensare un po’ su?” chiese Castellana, come al solito previdente.

“D’accordo”.

“Facciamo così allora” concluse Giullare, astuta come sempre, “alla fine dell’avventura, esprimeremo il nostro desiderio e voi lo esaudirete”.

E così fu deciso.

Tuttavia, le cose non andarono proprio come previsto, cari lettori, grandi e piccini.

Forse, come avevano detto la coccinelle in coro, l’avventura era semplice, ma semplice solo a scriverla su questo foglio di carta o in un bel disegno colorato, perché, nella realtà, la storia non fu così facile .

Come andarono le cose? Calma, calma, adesso ve lo raccontiamo…

Il viaggio lungo il fiume, fino alla grotta nascosta fra i rovi, non fu difficile. La scoperta della gabbia dove erano intrappolate, poverine, centinaia e centinaia di coccinelle, non fu un gran problema.

Le difficoltà arrivarono dopo.

Trasportare la gabbia di ferro sul sentiero verso il bosco non fu certo un’impresa da poco. Le due bimbe, una davanti e l’altra di dietro, sudarono parecchio per arrivare fino alle soglie del bosco, lungo una strada in salita, a zig zag, che si inerpicava come la scrittura di un ubriaco sopra le colline.

Ma non era finita.

Proprio quando Giullare e Castellana giunsero a destinazione, davanti agli alberi alti e solenni della foresta, appena tirato un sospiro di sollievo, ecco che apparve di fronte a loro… lo spirito malvagio… Malocchio!

“Uffa” sbottò il Giullare, che non aveva paura di nessuno “e questo qui cosa vuole!”

“Calmati, sorellina” cercò di trattenerla la Castellana “non essere impertinente, c’è poco da scherzare, questo mi sa che è il cattivo Malocchio”.

“Hai indovinato, microbo. E voi? Dove credete di andare!” sbottò il maligno, con una voce roca e profonda che avrebbe fatto tremare vene e polsi perfino al diavolo in persona.

Il Malocchio era alto e magro. Indossava un lungo cappotto nero che gli scendeva come una cascata fino ai tacchi degli stivali a punta, di vernice, neri, con certi speroni di ferro scintillanti come gli occhi rossi, due tizzoni di brace in mezzo a un camino.

Brrrrr… Faceva veramente terrore!

“Siamo venute a liberare le coccinelle nel bosco” rispose Giullare, con la testa alta e le braccia conserte, il viso imbronciato.

“E ti dovresti vergognare per quello che hai fatto” ribatté la sorella, puntandogli contro un indice ammonitore.

“Uhhhhh, sto morendo di paura” disse fra le risate il Malocchio. “Andate via prima che perda la pazienza e non vi riduca come quelle coccinelle in gabbia”.

C’era veramente da darsela a gambe.

Ma le due piccine non si fecero intimorire. Si tennero per mano, si fecero coraggio, si guardarono negli occhi con un fare di intesa complice e intelligente.

Senza dirsi una parola sapevano già cosa fare.

Dopo qualche minuto di silenzio, la Castellana rispose: “E va bene, ci hai convinto, mago crudele, ce ne andiamo, abbiamo troppa paura”.

“Saggia decisione. Fate bene. E non fatevi più vedere da queste parti, se no…”

Le sorelline, stringendosi sempre per mano, tirando con una fune la gabbia delle coccinelle, fecero per tornare sul sentiero del ritorno, ma appena svoltato l’angolo, si fermarono, si nascosero dentro un cespuglio e la Castellana disse: “Forza, sorellina, tira fuori le carte…!”

Dovete sapere, difatti, che le due astute bambine avevano già previsto un piano per sconfiggere il Malocchio.

La piccola Giullare estrasse dal segreto della sua tasca un mazzo di 56 carte, quelle carte dei tarocchi con le figure dei trionfi o dei grandi arcani. C’erano proprio tutte: il matto, il bagatto, la papessa, l’imperatrice, l’imperatore, il papa, gli amanti, il carro, la giustizia, l’eremita, la rota della fortuna, la forza, l’appeso, la morte, la temperanza, il diavolo, la torre, le stelle, la luna, il sole, l’angelo e il mondo.

Fu una trovata geniale!

Le bambine che possedevano il potere di dialogare con animali, oggetti, elementi della natura, si rivolsero all’Angelo dei tarocchi, con queste parole:

“Angelo caro, solo tu ci puoi aiutare! Il Malocchio non ci permette di entrare nel bosco e noi abbiamo fatto tanta fatica a trasportare la prigione delle coccinelle. Ti prego, Angelo buono, esci dalle carte e manda via lo spirito malvagio. Solo tu possiedi la forza di cacciare il Malocchio. Aiutaci a salvare la foresta e la collina!”

Non avevano ancora terminato la frase, che una magia si compì davanti agli occhi commossi delle bambine: l’Angelo, accompagnato da una soffice nuvola di fumo bianca, uscì dal mazzo dei tarocchi e si materializzò davanti a loro.

Le due piccine applaudirono allegre e eccitate: bravo, bravissimo, bravissimissimo!!!

E così, l’Angelo dei tarocchi, vestito con uno scintillante abito bianco ed un morbido mantello celeste, comparve davanti al Malocchio, che si fece prendere dal panico e scappò a gambe levate, giù per la collina, rotolando e franando fra i cespugli, le piante, gli alberi,  i roveti, le spine.

Nessuno sa che fine abbia fatto il Malocchio.

Alcuni dicono sia sprofondato in una fossa alla fine della valle e si sia incagliato al centro della terra, in mezzo al fuoco e infiniti patimenti. Altri dicono che a forza di rotolate giù per la collina si sia bruciato tutto e abbia preso la forma di uno sporco e nero spaventapasseri. Altri ancora (ed è questa l’opinione comune) affermano che il Malocchio, abbia imparato la lezione e si sia ritirato in un monastero di frati a pregare e chiedere perdono per le sue malefatte.

Nessuno lo sa, ma la cosa certa, e più importante, è che il Bene ancora una volta abbia trionfato sul Male.

E le nostre due piccole protagoniste?

Non ci dimentichiamo di loro.

Il Giullare e la Castellana liberarono le coccinelle nel bosco e salvarono la natura dagli insetti malefici. Salvarono gli alberi, le rose, le piante… e salvarono anche l’uomo, che (non dimentichiamolo) senza la natura non può vivere.

Così arrivò il momento tanto atteso. Le tre coccinelle inviate dal cielo si presentarono al cospetto delle sorelline ed esclamarono: “Siete state davvero in gamba. Eravamo sicure che avreste compiuto l’impresa perché siete bambine speciali, che sanno ascoltare e parlare col mondo. Ma, dunque, avete deciso? Qual è il vostro desiderio?”.

La Castellana e il Giullare si guardarono negli occhi e sorrisero. Avevano riflettuto e deciso.

“Il nostro nonno non sta bene. Ha un gran mal di schiena” disse Giullare.

“Vorremmo che guarisse da tutti i suoi mali e tornasse agile come da giovane” concluse Castellana.

E così fu.

Quella sera, quando le bambine rientrarono a casa, dopo la sorprendente avventura delle coccinelle, trovarono un nonno diverso: era agile e scattante, si muoveva senza fatica, i tratti del suo viso erano nitidi e puliti come il rintocco di un campanile in una notte di luna piena.

Più che il loro nonno sembrava il loro papà.

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Questa favola

scritta e illustrata in occasione del Natale 2010

è dedicata a

Eleonora e Beatrice

perché crescano libere

senza mai essere lasciate sole