Formiggini

fotografia di Formiggini

Saggio su Angelo Fortunato Formiggini

apparso in “Stilos”, anno VII, n. 23, giugno 2005

dal titolo
Il piacere del ridere
Biografia di Formiggini, un intellettuale che dedicò vita e opere all’umorismo

Imola. Il suo nome era tutto un programma. E lui che di ironia (e autoironia) se ne intendeva, lui che sapeva giocare con le parole e si divertiva a carnevalizzare le situazioni, a rovesciare i luoghi comuni, a sovvertire le convenzioni, lui col suo nome, che in qualche modo era lo specchio capovolto del suo spirito, ci lavorò con amabilità. Stiamo parlando di un bizzarro personaggio, Angelo Fortunato Formiggini (1878-1938), un intellettuale che diede un contributo significativo, per non dire decisivo, al mondo editoriale e culturale italiano negli anni del regime fascista.
Di questo singolare editore, che fece del genere umoristico il pilastro della sua attività (anzi, di più: della sua filosofia di vita), ci offre un suggestivo profilo la recente pubblicazione di Antonio Castronuovo Libri da ridere (Stampa Alternativa, Viterbo, 2005, pp. 159, € 7), che sarà prossimamente presentato alla Sala delle Stagioni di Imola: un libro, diciamolo subito, che è a metà strada fra il saggio e il romanzo, e in fondo l’immagine riflessa del suo argomento medesimo, poiché la “leggerezza” di tono e d’atmosfera, il registro caustico, pungente, ironico, che sono alla base dell’attività editoriale e della personalità di Formiggini, si riconoscono, pari pari, nella sensibilità delle pagine di Castronuovo.
Ironia. Umorismo. Piacere del riso. Sono queste, dicevamo, le chiavi di accesso per entrare nello stravagante universo di questo personaggio.
Ma partiamo dal nome, appunto, che in qualche modo è l’esatto contrario del suo destino. Di certo, egli non fu un “angelo”, nel senso di personalità candida, gentile, accomodante, anzi la sua esistenza è punteggiata di scherzi, bufale, pasquinate, giochi, derisioni. Si fece subito notare fin dai tempi del Liceo Galvani a Bologna, fra professori e compagni, per i quali scrive un poemetto satirico, una sorta di parodia dantesca, nei cui personaggi trasfigura tipi scolastici reali e che gli costò la perenne espulsione dall’istituto e da ogni altro liceo del Regno d’Italia.
È poi la volta delle due tesi di laurea: una in Giurisprudenza e una in Lettere. Nel primo caso, organizza un provocatorio pesce d’aprile, poiché nel titolo della tesi si propone di analizzare le giurisdizioni storiche riguardanti la condizione della donna “di razza ariana e di razza semita” (tema quindi assai serioso), per poi svelare (molti anni dopo) di aver affrontato, al suo interno, tutti altri argomenti (e il dato più curioso è che nessuno del corpo accademico se ne accorse, tant’è che la tesi gli valse persino la lode!).
Nel caso, invece, della laurea in Lettere, approfondì un tema che può di certo considerarsi il suo “manifesto programmatico”, la sua stessa tesi di vita, il centro propulsore della sua futura attività editoriale: “la filosofia del ridere”. In essa si spiega il senso del ridere, di cui sono indagati il meccanismo, le teorie fisiologiche, logiche ed etiche, per poi esaminare il ridere degli animali, dei bambini, dei selvaggi e degli uomini. Insomma, una vera e propria teorizzazione dell’importanza dello spirito umoristico nella vita dell’uomo, che sarà poi, coerentemente, lo spirito che accompagnò tutta l’avventura di Formiggini.
E infatti, a ripercorrere le tappe principali della vita dell’editore attraverso le pagine di Castronuovo, ci accorgiamo che la “filosofia del ridere” fu davvero un tratto ricorrente. Da quando, in “un bel mattino di maggio nel 1908”, Formiggini decide di fare l’editore, il panorama culturale (oltre che la vita personale dell’uomo) sembra davvero subire una scossa tellurica, poiché in libreria cominciano a circolare testi davvero bizzarri, poco conosciuti, che l’editore si preoccupò di diffondere anche in trincea per tirar su il morale dei soldati: testi di Gaspara Stampa, Esiodo, Tassoni, Chiabrera, Rabelais, Sterne, Voltaire, Bracciolini, Margherita di Navarra, Esopo. Insomma: “i classici del ridere”, come l’editore stesso nominò la collana.
Ma questa piccola casa editrice (e fu lo stesso Formiggini, in un effervescente Dizionarietto rompiscatole degli editori italiani, a definirla orgogliosamente una “casa piccina, piccina, picciò”, aprendo così la strada al mondo della piccola editoria di qualità) comincia a sfornare libri non sempre graditi al regime, che rivendicavano la massima libertà: all’editore Mussolini attribuisce le “satire più pungenti contro il fascismo” e da qui censure, imposizioni, severi controlli.
E arriviamo così al secondo nome del nostro editore, il rovescio del suo destino: dopo “Angelo” c’è “Fortunato”. E davvero non fu fortunato, Formiggini, poiché già l’equilibrio col regime si era incrinato agli inizi degli anni trenta, fino a quando nell’autunno del 1938 vennero approvate le leggi razziali contro gli ebrei e la situazione per il piccolo editore, di origine ebrea, precipita definitivamente.
“Comunico che sono costretto a troncare la mia attività editoriale sostenuta con eroico furore per 30 anni”, scrive Formiggini a Bottai, ministro per l’Educazione Nazionale.
Ma evidentemente lo spirito ribelle e stravagante del nostro non si era spento: il 28 novembre 1938 egli prende un treno da Roma con biglietto di sola andata per Modena e il 29 novembre, dopo essersi congedato dalla moglie e dagli amici, si dirige verso il Duomo, distrae il custode della Ghirlandaia (la torre campanaria di Modena), raggiunge di corsa l’ultimo piano e si precipita giù urlando “Italia Italia Italia!”.
L’ennesima beffa di Formiggini. Un suicidio di protesta. Un atto di ribellione.
Può lasciarci sconcertati, imbarazzati, confusi: ma è esattamente questa l’intenzione che Formiggini aveva dato al suo gesto. Una sfida e insieme una beffa al regime.
L’estrema beffa di un uomo che seppe incarnare nell’ironia la massima espressione del pensiero filosofico e che, anche per quanto riguarda la morte, arrivò a dichiarare: “crepare è il solo diritto che sia rispettato: sarebbe un peccato non approfittarne”.
Andrea Pagani