Italo Calvino “Viaggiatore”

Calvino e la letteratura interrotta
in “Cartapesta”, n. 3, settembre-dicembre 2000, Imola

Le brillanti invenzioni che la storia della letteratura ci ha offerto, per quanto abbiano mostrato, in molti casi, forme di autoironia e incantevoli inganni, di rado hanno raggiunto gli esiti e l’energia fantasiosa dell’opera di Italo Calvino, e in particolare di un noto romanzo edito da Einaudi nel 1979: Se una notte d’inverno un viaggiatore.
In quest’opera, che rappresenta peraltro l’estremo esperimento calviniano sulla narrativa combinatoria, si mette in gioco una serie di meccanismi letterari che tentano di demistificare e, alla resa dei conti, di svalutare la funzione dell’arte nel suo complesso e irrisolto antagonismo con la realtà.
Ma procediamo con ordine e lasciamoci irretire dalla suggestiva rete costruita dallo scrittore.
Fin dalle prime pagine siamo affascinati da alcuni ingegnosi motivi di novità. Anzitutto la funzione referenziale del romanzo non è lasciata a un anonimo e onnisciente autore, e nemmeno ad un io narrante intimamente coinvolto nella vicenda, ma al Lettore e alla Lettrice: la storia vede come protagonista la seconda persona singolare, un tu che non è più il generico destinatario dell’opera, ma ne diventa il personale artefice. Questa innovazione, che Calvino riprende in parte dai modelli di Michel Butor, di Frederick Barthelme, di Jay McInerney, mette in campo una ricca serie di riflessioni sulla sociologia della letteratura e sulla teoria della ricezione della fine anni Sessanta, secondo cui si ribalta la tradizionale centralità del testo e si pone in primo piano la “ricezione”, ovvero la risposta da parte del pubblico in relazione a un’opera d’arte. In tal senso, Calvino rappresenta e allegorizza il coinvolgimento del Lettore nel libro.
Si pone, a questo punto, il quesito: qual è la storia del Tu protagonista?
Ci troviamo così irretiti in un originale sviluppo narrativo. Il Lettore che apre Se una notte d’inverno un viaggiatore, per un disguido tipografico-editoriale si trova in possesso di una copia difettosa dell’opera, il cui incipit è ripetuto in tutti i sedicesimi. Inizia allora l’ansiosa ricerca del seguito, destinata però a incontrare continui ostacoli e fallimenti: il Lettore, accompagnato dalla Lettrice, si affanna tra librai, case editrici, traduttori, scrittori, gruppi rivoluzionari, regimi dittatoriali e ogni volta si imbatte sempre in nuovi inizi di romanzi, tutti interrotti sul più bello. Il Lettore giunge alla fine di questa frustrante ricerca trovando nel catalogo di una biblioteca tutti i titoli dei dieci libri iniziati: non sono però disponibili alla lettura, poiché momentaneamente in prestito. Allora, leggendo i vari incipit uno di seguito all’altro il Lettore scopre di trovarsi all’inizio di un altro romanzo. L’avventura termina qui e siccome non esiste un romanzo di consumo senza lieto fine il Lettore e la Lettrice si sposano e continuano a leggere.
Una trama del genere invita a un fervido snodo di riflessioni.
La struttura è apparentemente una delle più antiche e tradizionali: una cornice narrativa (la storia del Lettore e della Lettrice), costituita da dodici capitoli, dentro la quale si inseriscono i dieci romanzi interrotti. Il riferimento è ovviamente ai grandi modelli delle Mille e una notte e del Decameron, ma l’opera di Calvino rivela un progetto sperimentale con caratteri estremamente innovativi. Siamo di fronte, infatti, a un emblematico esempio di “metaromanzo” o di “romanzo della teoria del romanzo”, il romanzo cioè che parla di se stesso, che discute sui meccanismi costruttivi e sulla funzione della letteratura.
A questo modello narrativo se ne affianca un altro, in modo complementare e armonico: ovvero il modello del “romanzo semiotico o combinatorio”, secondo una procedura letteraria che prevede la formazione di un quadro strutturale compiuto sulla base delle concatenazioni dei diversi elementi costitutivi del romanzo stesso, concentrando cosi la propria attenzione sulla geometrica combinazione delle singole cellule narrative, delle minime unità strutturali, in una sorta di sofisticato gioco d’incastri e di complesso sistema di rimandi interni. Non è un caso, ad esempio, che la successione dei dieci romanzi interrotti determini la formazione di un nuovo inizio di romanzo.
Qual è, dunque, la riflessione a cui Calvino ci vuole portare, in questo labirinto metanarrativo?
Va sottolineato, riprendendo un suggerimento dello stesso autore, che i dieci incipit dei romanzi costituiscono una sorta di catalogo dei generi letterari (romanzo giallo, di spionaggio, d’avventura, politico, brutale, erotico, surreale, simbolico, geometrico, esistenziale), nel tentativo di rappresentare la molteplicità delle forme narrative ovvero degli atteggiamenti nei confronti del mondo: “Si tratta – spiega Calvino – della ricerca del ‘vero romanzo’ e, insieme, del giusto atteggiamento verso il mondo”.
Ma a quale conclusione perviene questa ricerca?
Il Lettore dovrà rassegnarsi, alla fine dell’opera, ad aver trovato solo incipit di romanzo, in uno stato di continua e crescente insoddisfazione, cosicché Calvino giunge a istituzionalizzare “l’interruzione”, come un elemento fondamentale del romanzo, cui assegna un profondo e simbolico valore semantico: l’interruzione diventa motivo tematico dell’opera, allegoria dell’incapacità di trascrivere sulla pagina la dinamica molteplicità della vita.
In altre parole, siamo di fronte a un caso estremo di demistificazione dell’opera d’arte: ciò di cui Calvino vuole persuaderci, in un divertito vigore di autoironia, è che la letteratura non potrà mai denotare, contenere, rappresentare il movimento complesso della vita e dovrà rassegnarsi a rimanere “interrotta”.